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Simonide

FRAMMENTI

 

1.

Degli uomini poca

è la forza, e vane sono le pene:

nella vita breve, fatica s'aggiunge a fatica;

e sovrasta la morte, che non si può fuggire.

Parte uguale ne ebbero in sorte

i buoni e tutti i cattivi.

2.

Poiché sei uomo, non dire mai quel che accadrà

domani; e se vedi uno felice,

per quanto tempo lo sarà:

veloce è il mutamento, come neppure lo scarto

della mosca dalle ali distese.

3.

Di coloro che morirono alle Termopili

la sorte è gloriosa, bello il destino,

e un altare è la tomba; al posto dei gemiti il ricordo, e il compianto è lode.

Una tale veste funebre la ruggine

non oscurerà, o il tempo che tutto doma.

Questo sacro recinto d'eroi scelse ad abitare con sé

la gloria della Grecia. Testimone è Leonida,

il re di Sparta, che un grande ornamento di valore ha lasciato,

e una fama perenne.

4.

Divenire davvero un uomo valente

è difficile, quadrato nelle mani, nei piedi

e nella mente, plasmato senza biasimo.

* * *

Né ritengo intonato il detto

di Pittaco, pur se fu pronunciato da un uomo

saggio. «E' difficile» - disse - «esser valenti.»

Solo un dio può avere questo dono, ma un uomo

non può non essere ignobile

se una sventura lo coglie senza rimedio.

Se ha successo, ogni uomo è valente;

ma è malvagio, se ha sorte cattiva; (per più tempo è eccellente)

chi dagli dèi è amato.

Non voglio, dunque, in una speranza vuota ed inane

sciupare la mia parte di vita

bramando l'impossibile:

un uomo che sia senza biasimo, fra quanti cogliamo

il frutto della terra vasta.

Quando l'avrò trovato, a voi l'annuncerò.

Tutti io lodo e amo:

chi nulla di turpe compia volontariamente; con la necessità

non lottano neppure gli dèi.

Basta per me un uomo che non sia cattivo

né troppo stolto, e conosca la giustizia che giova alla città:

un uomo sano. Io non lo biasimerò:

al biasimo non sono incline;

infinita è la razza degli stolti.

Ogni cosa è bella, cui non si mescola nulla di turpe.

5.

Quando nell'arca

ben costruita

il soffio del vento

e il mare sconvolto la prostravano

nella paura, con guance non asciutte,

intorno al capo di Perseo pose la mano

e disse: «O figlio,

quale pena io ho.

Tu dormi: col tuo cuore di bimbo

tu dormi, nella triste arca

dai chiodi di bronzo, nella notte buia

e la tenebra oscura disteso.

E il mare profondo - l'onda sfiora

i tuoi capelli - non curi,

né la voce del vento,

appoggiato nella veste di porpora

il tuo bel viso.

Se ciò che fa paura, per te fosse pauroso,

alle mie parole porgeresti

il tuo tenero orecchio.

Ti prego, bimbo, dormi: e dorma il mare,

dorma la sventura infinita.

Un mutamento appaia,

Zeus padre, da te.

Se un voto audace io formulo,

o lontano da giustizia, perdonami».