Margit Kaffka

SIGNORE*

Nel pomeriggio di un grigio inverno le donne pallide e goffe sono arrivate una dopo l’altra, sul loro volto affaticato si disegna la grande amarezza. Queste madri della miseria sono insoddisfatte con stupida testardaggine in questo giorno di visite gratuite: ospiti maldisposte ed informi; tenendo sul braccio o conducendo i loro piccoli infelici, magri, alcuni con la corporatura difettosa. Un piccolino vestito di stracci vede appena; gli occhi gonfi di color azzurro acqua sono nascosti nel suo volto pieno di frinzelli. Un altro bambino pallido con le gambe storte zoppica accanto alla robusta madre aggrappandosi alla sua gonna: il suo sguardo è curioso-sorridente. Un lattante agonizzante con la faccina grande appena come un pugno con le bluastre labbra deboli cerca il capezzolo nero-marrone della magra mammella della madre. Tutti questi non hanno trovato posto nella clinica: è inutile; - cosa potrebbe dire il medico del "circolo"? Il rifugio finale si trova qui, nell’elemosina del gran professore, se potranno raggiungerlo. Vengono sempre più numerose, fanno conoscenza, si mettono intorno al piccolo bimbo in fasce, si meravigliano, sussurrano, oppure hanno un atteggiamento risaputo, ma la maggior parte si siede silenziosamente sulla lunga panca di legno della sala d’attesa dell’ambulatorio; - si piegano, sbadigliano o sospirano dal freddo, dalla fatica delle scale, da tutta questa goffa desolazione.

- Per oggi è già troppo! - afferma il lacché che fa ordine tra loro. - Probabilmente non toccherà a tutti.

La gente lo guarda spaventata ed impotente. Neanche oggi? E allora di nuovo soltanto fra una settimana! Alcuni piccoli sofferenti cominciano ad innervosirsi. Le madri si piegano con tenerezza sopra di loro per calmarli ed in questi momenti il loro viso marcato imbellisce per qualche minuto arrendendosi nella profondità della tristezza spirituale. Ma poi di nuovo si guardano in faccia: calcolando chi è arrivata prima? Sanno già che le prime riceveranno più parole, istruzioni più approfondite; dopo le rimanenti verranno trattate con stanchezza, seccamente e per breve tempo. Sono già quasi le quattro. Il medico è ancora una volta in ritardo.

Presso la grande finestra, nell’angolo, siedono in tre: una dama che indossa una pelliccia, con un bel cappello; la sua pelle è fine. Con lei c’è la bambinaia con un gran fazzoletto, ben pettinata, veste un grembiule bianco stirato. Nel braccio tiene una bella bimbetta di due anni, con un fiocco nei capelli. Si sono isolate, provano ripugnanza e sono anche impazienti. La gran signora chiama più vicino la domestica e guarda sulla strada.

- Dovrebbe essere subito qui. - si ferma cortesemente davanti a loro il lacché.- E’ meglio che lei sia venuta in questo giorno di visite gratuite, le pazienti private saranno le prime.

La dama fa un cenno con la testa. Ma a lei non piace di essere venuta, per caso, proprio in questo giorno. Questa miseria per lei estranea, minacciosa con la sola presenza, la infastidisce e la deprime. Ora guarda la sua piccola, la sua creatura esageratamente fine, questo fiore di vetro, quasi perfetto. La sta curando dedicandosi a lei completamente, la sta preparando alla vita con sistemi alimentari intelligenti già dalla sua nascita, anzi anche prima di essa. La bimba ora ha avuto soltanto la varicella, ma l'ha portata qui per farla controllare: che non sia rimasta qualche malattia nascosta? In questi mesi umidi non si dovrebbe portare altrove - ha qualche organo più debole? -, che tipo di protezione o rafforzamento necessita il suo organismo? E’ la sua bella, intelligente, unica figlia! Quando ha girato i suoi occhi nella sala, nei primi momenti si è stupita e rattristata, ha sentito compassione materna, ma poi si è accorta che le presenti la osservavano con un soffocato, insensatamente muto odio e prova sbigottimento. Sì, perché toccherà prima a lei, questo è il loro guaio. Oppure tutto quanto lo è, anche che ora lei si trova qui davanti ai loro occhi, che sta mostrando il lato più sopportabile della sua vita rispetto alle loro crudeli amarezze. Ella si sta difendendo nei suoi pensieri come se la accusassero, con fare ostile, ad alta voce. Cosa? Anche lei ha sofferto come loro per la maternità e già da allora vive per essa, ci pensa giorno e notte, ha studiato, l'ha presa sul serio. Non è sufficiente che ogni donna sia responsabile per i suoi? Questa è una missione! Ciò nonostante è scomodo stare qui ed è costretta ad avere pensieri inconsueti, ridicoli. Magari potesse tornare a casa!

Il lacché esce per qualcosa, c’è silenzio per un minuto. Poi improvvisamente, con un coraggio amaro, rimbalza la prima grossa, perfida osservazione. E’ volgare ed irragionevole, una delle presenti la lancia alla sua vicina, l’altra in risposta rincara la dose, trovando un pubblico disponibile tra le donne sedute di fronte. La dama fa come se non sentisse i commenti , ma percepisce un'atmosfera sconcertante nella propensione a dare sfogo a queste volgari spiritosaggini probabilmente nascoste già da tempo sottoterra, come se si fossero sviluppate mano a mano per scoppiare adesso. Esse non le hanno pensate ora, non è la prima volta che esprimono questi maldestri, ironici attacchi. Secondo il modo della gente volgare ora si dicono alcune cose tra di loro, ma indirizzandole ostentatamente ed apertamente contro di lei. Ma anche i suoi argomenti per opporsi non sono pensieri di adesso. Che cosa hanno con lei? Le danneggia il fatto che indossa un paio di scarpe buone e porta un cappello sul capo? E se anche lei non li avesse, ciò le aiuterebbe? Queste donne conoscono la sua vita da signora, le sue sofferenze nevrotiche, le sue tante croci che non sono elencabili? Ora sente l’eterna iniquità che induce a vendicarsi, con "alcune" persone, a causa dei motivi lontani ed incomprensibili delle ingiustizie di massa. Perché proprio lei? Ma è rimasta seduta al suo posto e le ascolta con una passività strana, spaventata e nervosa.

- E’ così! I malanni dei marmocchi delle dame con i cappelli con piuma hanno anche un odore più buono!

- Suo figlio, mia cara, può crepare dieci volte mentre il dottore fa soffiare il naso della figlia di quella per dieci pengő.

- Quella bimba non ha niente, la madre è venuta qua soltanto per fare sfoggio di sé. Là dentro si divertirà per un’ora, noi invece saremo mandate a casa. Dio mio, perché non...!

- Ricorda proprio lui: Dio...!

Si sente una risata volgare, brutta, inopportuna, poi tacciono perché nessuna è intervenuta contro di loro. Ora si sente il rumoroso, soffocante respiro del povero lattante agonizzante. Quelle tre sconosciute nell’angolo siedono distaccate, il bollente odio come una lava le circonda e le isola. La bambinaia è arrabbiata, con i suoi piccoli occhi le fissa e sarebbe pronta a rispondere come una cagna fedele, ma la dama la invita a rimanere in silenzio. Si piega sopra la figlia e le sussurra delle parole con uno sforzo spasmodico, nervoso, quasi piangendo. La bimba accarezza il viso della madre con la sua manina che è così delicata, morbida come se fosse una gattina bianca col nastro sul collo. Un bambino zoppo di dieci anni piegando avanti le spalle magre, automaticamente la guarda e sorride. Le donne adesso sono sedute in silenzio e l’odio soffocato nelle anime fa loro male. Oh, è facile per lei non ascoltarle, non interessarsi a loro. Esse possono parlare di qualsiasi cosa, non importa a nessuno! Il loro figlio è già condannato prima della nascita a tutti i malanni. I grandi signori sanno quello che possono, un figlio, due figli; ma loro debbono avere anno dopo anno dei figli, uno è ancora lattante e già rimangono gravide; sono costrette ad andare a lavare, stirare anche con le vertigini. Già, l’appartamento e il cibo! Quando si tagliano sei-sette fette di pane, se ne consuma già in una volta un chilo. Se potessero raccontare tutto quanto: la loro vita da bestie già dall'infanzia nebbiosa, confusa!... Eh, già... i loro figli! E’ arrivato un morbo perfido e crudele - chissà da dove - semplicemente dal loro innocente corpicino, dall’aria oppure dal passato dei genitori -, ora debbono schifarsi di loro mentre li guardano. Adesso si trovano qui insieme così numerose con la loro comune e terribile miseria: ed ecco, ora si trova tra loro una delle grandi signore. Viene a disturbare la loro piccola speranza, il loro giorno...

Una lunga, penetrante tosse rompe l’estenuante silenzio - tosse soffocata e ‘tirata’ con sofferenza - proviene circa dalla metà della lunga panca. La magra schiena della povera bambina si piega profondamente; singhiozza, la sua fronte s’arrossa e la saliva bianca schiuma tra le sottili labbra pronte a piangere. La dama improvvisamente scatta prestando attenzione, velocemente gira lo sguardo nella sala come se cercasse un appoggio tra i visi arrabbiati delle nemiche. Il lacché è appena ritornato. - Prego - si gira verso lui energicamente - quella bambina ha la pertosse. Si deve portare nella sala isolata delle malattie infettive.

Ci mancava proprio questo. La rabbia soffocata, irragionevole, appassionata non si frena più. Saltano di scatto, protestano ad alta voce, nello stesso tempo tre-quattro donne bestemmiano. La madre della piccola ammalata di pertosse è la più impaurita: ella ripete silenziosamente nel gran rumore che portandola là non avrebbe più la possibilità di essere visitata, mentre a casa la aspettano ancora altri quattro figli affamati. Le altre intorno a lei gridano dalla rabbia; davanti al lacché dalle minacciose, pesanti braccia si forma una falange.

- Ci mancherebbe altro! Ci siamo qua anche noi!

- Contagiosa - benedetto Dio! Quel trucco scolorito sul suo muso, quello è contagioso. E tutte quelle brutte malattie dei grandi signori. La sua marmocchietta forse è nata in un luogo migliore?...

Qua e là si erano sentite anche alcune volgarità nel convulso, infuriato delirio.

- Perché non vi abbiamo dato alcun fiorino - provocano il lacché; - anche voi eravate allattato da una madre come noi!

Il giovane, ex-soldato, dei dintorni di Pest, svevo d'origine, ha girato lo sguardo con perplessità. Un sentimento di solidarietà verso di loro si è mosso dentro di lui, le ha sentite più vicine. Avrebbe voluto far vedere a questa dama piena di pretese che qui comanda lui. - Ma purtroppo egli ha veramente ricevuto un fiorino...

- Prego, io non so..., io non ho sentito tossire. Il medico arriverà subito.

La dama non risponde, è scandalizzata, fa un cenno alla bambinaia. - Venga, Giuli, aspettiamo piuttosto nel corridoio. Copra bene la bambina!

Con veemenza apre la porta ed in questo momento cade quasi nelle braccia di un signore che la saluta con sorpresa e grande gioia. Poi egli osserva stupefatto il suo viso agitato.

- Che cosa succede, signora?!

Le offre la mano. Ella cerca di riprendersi davanti all’uomo di società, che è suo alleato e rifugio in questo momento. Ritornando in sé, prima con fare ancora agitato, poi con sempre più tranquillità, alla fine sorridendo, segnala l’accaduto non dandovi più grande importanza. Non accenna neanche al grande insulto, sottolinea piuttosto la irregolarità della bambina non isolata nonostante la sua malattia infettiva. E quelle là in un attimo sentono la superiorità di questi grandi signori, la loro impotenza, la loro situazione: sono venute qua a mendicare una visita gratuita, ed hanno osato... Ora spaventate si ritirano, con l’umiltà della loro povertà, chinando il capo guardano verso il pavimento. Dentro di loro non sanno neanche come poteva succedere tutto questo. Il signore sconosciuto con la fronte piena di rughe le osserva.

- Meschine! - dice in modo brusco e breve. - Parlerò con mio cognato. Così hanno gratitudine per lui.... Pietro!

Il ragazzo confuso chiedendo scusa si avvicina.

- Stai zitto! Porta quella bambina con la pertosse nella sala isolata, subito! E’ aperta la sala da pranzo?

- Sì, signore!

- Prego, signora, si accomodi. Aspetteremo là mio cognato. Egli viene subito, mi ha portato con la sua macchina fino alla clinica, ma doveva entrare per qualcosa. Oh, lei non sapeva della nostra parentela? Áron ha sposato mia sorella maggiore.

Egli ha parlato in modo elettrizzante, con gioia, si vedeva che gli era piaciuta l’occasione di poter fare un favore, di poter accennare al suo famoso parente e particolarmente di poter rimanere un po’ in compagnia di questa bella conoscente nella cabina di vetro della sala da pranzo ben calda e profumata dall’odore dei fiori. Anche la donna ha già dimenticato la sua rabbia, le è piaciuta la situazione cambiata improvvisamente grazie alla sua presenza femminile. Si è liberata dai pensieri opprimenti della mezz’ora precedente che non si addicono alla sua personalità, lei è al di sopra di questi problemi. Adesso loro sono separati dalle altre. La loro alleanza è circondata dal piacevole ricordo di una serata dell'alta società e dall’eccitazione di un fine, piccolo flirt che li ha isolati dalla volgarità, dai fastidiosi umani e socialfilosofici pensieri. La bambinaia rappacificata prendendo in braccio la bimba si è seduta accanto al camino a gas che facilmente invita entrambe a sonnecchiare.

Invece là fuori, le donne dai volti profondamente umiliati si guardano l’un l’altra oppure osservano la porta su cui sosta qualche uomo ben alimentato e profumato. Poi altri due uomini di facili costumi si sono presentati ai loro occhi. Erano rimaste zitte per un po’, poi la robusta signora con la gonna di color blu, alzato il suo grande pugno, rantola istericamente con gran odio in modo spaventoso la terribile maledizione:

- Io le auguro che sua figlia muoia entro quest'anno!

 

Tratto dal volume di racconti "A szegények öröme",,- Magyar írók elbeszélései ("La gioia dei poveri" - Racconti degli scrittori ungheresi), 1900-1945, Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest, 1967

(*©Traduzione dall’ungherese di Melinda Tamás-Tarr Bonani)

Opera tratta dal sito Osservatorio Letterario, N.2 Febbraio/Marzo 1998